Alla vista di terre abbandonate, c'è molto di più di quello che si vede. Emblema di un sistema in difficoltà, l’incuria di questi paesaggi può in realtà anche essere l’innesco per recuperare un'immenso potenziale di crescita e cambiamento. Campi un tempo coltivati, poi ritenuti economicamente non redditizi, possono ora essere rivitalizzati attraverso pratiche innovative.
La libertà di costruire un'identità a partire da zero è il fulcro di questa impresa, un po' una crociata personale del nostro fondatore, Pasquale Bonsignore.
Senza il bagaglio di aspettative, tradizioni, eredità o la perpetuazione dei miti delle generazioni precedenti, ha deliberatamente cercato di sfidare lo status quo e di rifiutare l'idea che il passato debba dettare il futuro. L'aver iniziato con pochissima esperienza gli ha permesso di sperimentare e rischiare, e il suo pensiero non convenzionale, plasmato dalla sua formazione nel campo del design, ha formato i suoi valori per l'innovazione e il cambio di paradigma rispetto agli approcci tradizionali al cibo.
L’Italia, paese considerato in tutto il mondo la Mecca del cibo, ha costruito questo brand sul mito del paesaggio agricolo italiano che è però di per sé un'entità ossimorica. Da anni si assiste a un declino delle quote di produzione, causato da un mercato che sventola alta la bandiera del Made in Italy, ma che si rifiuta di pagare prezzi equi per la produzione di materie prime eccellenti che sono per l’appunto Made in Italy.
Il risultato è una distribuzione iniqua del valore lungo la filiera, dove buona parte degli attori meritevoli non ottengono la loro giusta remunerazione.
Viviamo in un momento in cui il sistema dell’agroalimentare si affida ancora molto a contenuti e tecniche tradizionali, spesso privilegiando la nostalgia e il retaggio rispetto all'innovazione e alla creatività, una strategia commerciale basata su nonni e presidi che, pur essendo utile a una grande narrazione, non ha alcun valore in sé ed è invece un approccio limitante che sta facendo ristagnare l'industria alimentare.
Il brand Italia è frutto di un lavoro e di una dedizione che per sopravvivere deve produrre margini degni di nota, oltre il livello delle commodity, e va quindi alimentato e sostenuto, innanzitutto vendendone i frutti alle giuste condizioni. Attraverso lo sviluppo di un sistema in cui la condivisione e la collaborazione uniscano i diversi punti di contatto del processo produttivo lungo tutta la filiera, dai campi fino al consumatore finale.
La crisi dell'industria alimentare in Italia è una questione complessa che richiede di affrontare diversi problemi di fondo, dai metodi di produzione obsoleti alla mancanza di investimenti nel settore. Ma crediamo che cambiando la narrazione e riconoscendo la dura verità, possiamo lavorare per rilanciare la scena.
Siamo guidati da un approccio che sostiene il futuro che vogliamo per noi stessi, le nostre comunità e i nostri territori. Un futuro equo richiede un'evoluzione continua e consapevole che mettiamo in atto, come il design insegna, attraverso: analisi, ricerche, sperimentazioni ed esecuzioni precise.
A Castelvetrano, paese di origine della famiglia di Pasquale, è nata l'idea. Era evidente che il comparto della produzione dell'olio d'oliva, determinante per quella zona fino a un certo momento storico, fosse frammentato e disfunzionale, dove ogni fase, dalla coltivazione alla spremitura, all'imbottigliamento, alla logistica e alla vendita, era gestita da diversi soggetti minoritari. Un sistema che si traduce in un gioco a somma zero in termini di compensazione, se non addirittura in una perdita nella copertura dei costi di manodopera e materiali.
Se le microaziende a gestione familiare sono state fondamentali per salvaguardare tecniche tradizionali e preziose competenze contadine, hanno tuttavia faticato a tenere il passo con i cambiamenti nelle esigenze del mercato e con le innovazioni tecnologiche e procedurali nei processi produttivi.
L'idea del piccolo, della tradizione e della conduzione familiare, pur essendo in voga e suscitando un certo fervore culturale, non ha senso dal punto di vista economico, né per portare in tavola un prodotto di qualità eccezionale, né per la redditività a lungo termine. Tutto ciò, nel corso dei decenni, ha portato sistematicamente all'insostenibilità dei mezzi di sussistenza da lavoro agricolo e, di conseguenza, all'abbandono delle terre.
La realtà di Castelvetrano è solo un esempio di una situazione molto diffusa in tutta Italia, dove continuano a persistere modelli di pratiche economiche e agricole radicate e spesso controproducenti. Le microimprese, che lavorano la terra senza pensare alla commercializzazione, sono scollegate dagli intermediari che offrono i prodotti al mercato, creando uno squilibrio nel ritorno di valori per i diversi attori. Le ripercussioni sono evidenti, un lavoro che non paga allontana le persone dalla terra portando allo svuotamento dei territori dell'Italia rurale.
Per ovviare all'inefficacia del quadro di riferimento, Incuso ha iniziato a lavorare con un piccolo gruppo di produttori, scambiando pensieri, competenze ed esperienze e mettendo in moto gli ingranaggi per unire i frammenti in un processo integrato che attingesse alla forza di un collettivo. Razionalizzando il processo lungo tutte le sue fasi e introducendo innovazioni in tutta la filiera, dalla gestione degli oliveti al confezionamento finale, Incuso ha presentato nel 2015 il suo primo prodotto, un’olio extra vergine d'oliva monocultivar di nocellara del belice, dedicato all’oliva emblema di tutta la valle omonima e di Castelvetrano.
Queste ipotesi e soluzioni derivano dalla decisione di affrontare soltanto due fra le mille difficoltà del sistema, quelle rispetto le quali riteniamo di avere maggiori competenze o che più ci stanno a cuore.
Il primo è un nuovo modo di approcciare l'industria dei prodotti alimentari, sviluppando un modello sostenibile che crea un valore maggiore da offrire al mercato, quindi una maggiore remunerazione per l'esaustivo lavoro di creazione di un prodotto eccezionale. Una remunerazione che permetta di ridistribuire il valore a ogni parte della filiera assicura che la qualità, l'impegno e lo sforzo di ciascun attore siano equamente retribuiti, soprattutto alla base.
Mentre l'attuale narrazione del mercato è caratterizzata da fattori che parlano di tradizioni, eredità e nomi storici, noi vorremmo invece proporre una proposta di valore che rifletta un'altra prospettiva, ovvero prodotti che siano il risultato di processi di ricerca che ne migliorino effettivamente la qualità e i contenuti. Se siamo convinti che le tradizioni non abbiano un valore intrinseco, è quindi necessario scoprire idee e motivazioni nuove che ci permettano di chiedere maggiori risorse al mercato. Siamo convinti che ciò possa avvenire solo attraverso la collaborazione con la ricerca scientifica. Adottando una strategia in cui gli studi scientifici e la ricerca tecnica stabiliscono il quadro di riferimento per migliorare, implementare e sviluppare i prodotti, guardando a questi con un approccio laico e senza pregiudizi, possiamo affermare che i prodotti che proponiamo sono effettivamente migliorati in modo oggettivo. A tal fine, collaboreremo con le università per creare un centro di ricerca a Milano che integri la ricerca tecnica e scientifica. Il lavoro del centro di ricerca ci fornirà gli strumenti e i protocolli produttivi per davvero poter trovare sul mercato un ritorno maggiore.
Questo, distribuito in maniera corretta, è la base per affrontare le cause di fondo del secondo grande tema, forse quello a cui teniamo maggiormente , lo svuotamento delle campagne italiane.
Riconosciamo che uno dei principali problemi dell'agricoltura italiana è lo spopolamento delle campagne, che sono il cuore del settore agricolo. Così come la perpetuazione delle tradizioni, anche il più volte citato ritorno alle campagne è un mito che non rispecchia la realtà.
Dobbiamo invece riconoscere che l'ingiusta distribuzione delle risorse lungo l'intera filiera è sia una causa che un effetto. Un circolo vizioso di disuguaglianza in cui i contadini faticano a mantenersi con il loro lavoro e quindi a continuare a lavorare la terra. Quando le persone sono mal pagate e quando il sistema fallisce, a soffrire sono i più deboli. Quando il loro contributo viene svalutato, il lavoro agricolo non è più un'opzione. La stragrande maggioranza del settore agroalimentare italiano è tenuta in piedi da lavoratori part-time che sono sostenuti da un lavoro primario, o da pensionati, mentre il lavoro nei campi è una priorità secondaria che continuano a portare avanti per tradizione. Non è una situazione che ispira una continuità attraverso le generazioni, è semplicemente insostenibile.
Sebbene oggi sostenibilità sia una parola in gran voga associata soprattutto all'impatto ambientale e ai temi del consumo consapevole, noi facciamo nostra la definizione secondo cui semplicemente “sustainability is the ability of a system to last over time”. Perché il sistema agricolo sopravviva, la presenza, la partecipazione e l’iniziativa delle persone sono assolutamente fondamentali e quindi per noi la sostenibilità è soprattutto una questione di urgenza sociale.
E non c'è esempio migliore del sistema agroalimentare italiano per riflettere questo concetto, dove garantire a chi lavora in quel sistema un trattamento equo e l'accesso alle risorse necessarie per prosperare significa mettere in atto un meccanismo sostenibile per i mezzi di sussistenza e i territori.
Riconosciamo che tutti i modelli presentano delle carenze e che la costruzione di un sistema di distribuzione equo basato esclusivamente sulla rettitudine non è sufficiente. Dobbiamo invece mettere da parte gli stessi contenuti esausti per fare spazio a nuovi approcci innovativi da implementare. È quindi fondamentale convogliare le risorse alla base per incentivare le comunità a rimanere a lavorare in agricoltura. Ciò consente di preservare un bacino inestimabile di competenze, tecniche e abilità che questi agricoltori possiedono, ma non hanno ancora le risorse finanziarie, emotive e concettuali per restare al passo con i tempi. È qui che entra in gioco il prezioso lavoro del centro di ricerca. Che però è solo una gamba di un modello che prevede anche la responsabilità non solo della ricerca ma anche della applicazione di quei metodi e strategie necessari per confrontarsi con il mercato con più soddisfazione. Stiamo lavorando la creazione di una scuola di gestione agricola, con una propria identità e struttura che si assuma la responsabilità cruciale di diffondere i protocolli innovativi concepiti dal centro di ricerca alla più ampia comunità agricola e di garantirne l'effettiva applicazione.
Questo approccio valorizza il lavoro fondamentale di chi si prende cura della terra e gli conferisce una nuova dignità che deriva non solo da una dimensione economica meglio strutturata ma anche da una dimensione contenutistica più raffinata. Crediamo che la consapevolezza e la formazione siano i catalizzatori di un cambiamento di mentalità, in cui i coltivatori iniziano a vedere il valore che le loro terre possono produrre.
Incuso è radicato nell'inversione del quadro attuale attraverso un percorso definito. Si tratta di una tabella di marcia di azioni consequenziali che conducono l'una all'altra e che consistono nel creare nuovi contenuti e protocolli, metodicizzare queste conoscenze e trasferirle agli agricoltori per generare opportunità di ritorni economici validi con una maggiore preparazione. Una volta creato il valore, c'è uno stimolo a investire, a migliorare, a trasmetterlo attraverso le generazioni e aiutare i giovani a rimanere nei loro territori come parte attiva e responsabile. Questo desiderio di progredire porta a sviluppi graduali in grado di accogliere una comunità fiorente, dalle infrastrutture sociali a quelle di servizio. Si creano tutti gli ingredienti di un ambiente in cui si decide di rimanere per libera scelta, con un lavoro che inorgoglisce e un senso di appartenenza a un luogo che si vuole nutrire e coltivare.
Se e solo quando ogni percorso sarà compiuto, allora potremo davvero dire di essere sulla strada giusta per salvaguardare la materia prima più importante di tutte, la bellezza del nostro Paese.
Distribuire valore nella filiera agricola per produrre eccellenze da portare sulle tavole di tutto il mondo
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